mercoledì 20 aprile 2011

Storia della danza
di Roberto Penzo
La danza nell'Asia anticaLa danza è definita, da Curt Sachs: la madre delle arti. La parola arte, però (aggiunge l'autore subito dopo) non esprime tutto, e si esita perciò a usarla: il suo significato attuale troppo ampio e nello stesso tempo limitato, non riesce a rendere compiutamente la pienezza di vita della danza.
La danza dunque, prima ancora di arte, è vita: è questo il senso del suo valore di matrice culturale. Nelle più antiche civiltà essa rappresenta sempre un'esperienza determinante nella vita di gruppo sociale. L'uomo primitivo esprime danzando ogni fondamentale avvenimento comunitario: nascite, morti, matrimoni. La danza primitiva è danza guerriera, danza magica, danza sacra, danza della fertilità: è comunque un'attività che ha sempre carattere rituale, che nasce in quanto rappresentativa degli accadimenti della vita della tribù. Nella società arcaica è essenziale il suo valore di modo di espressione della religiosità, il suo esistere come forma di contatto con l'ignoto, con le leggi sovrumane che regolano i cicli naturali: è il linguaggio usato dall'uomo primitivo per esprimere l'irrazionale, il trascendente.
Nella danza la comunicazione avviene tramite i movimenti significativi del corpo: è dunque un linguaggio il cui strumento è il gesto. Ma la danza non è soltanto comunicazione gestuale: essa consiste innanzitutto in un movimento ritmico, in quanto il corpo umano che danza segue sempre un determinato ordine cinetico, che si svolge in rapporto al tempo e allo spazio.

Se questa è una peculiarità che appartiene anche ad altri generi di attività fisiche (per esempio camminare, oppure fare ginnastica), la danza si distingue da essi in quanto consiste in un movimento che non viene condizionato da finalità utilitaristiche: qui il gesto si trasforma in movimento come espressione fine a se stessa, che trascende da qualsiasi scopo legato alla prassi del vivere quotidiano.
Nella nostra civiltà occidentale, che si fonda su una cultura razionalista, astratta, matematizzante, volta al progresso scientifico e all'evoluzione della tecnica, l'artista ha la funzione di comunicare agli altri ciò che sfugge a quella strutturazione artificiale della realtà che l'uomo si è costruito per poter dominare l'ambiente che lo circonda.
La danza teatrale occidentale, vale a dire la manifestazione spettacolare di quest'arte, concepita e strutturata per essere rappresentata di fronte a un pubblico, nella storia della cultura europea di quattro secoli si è per lo più identificata con la forma classica del balletto: un genere che ha assunto una fisionomia specifica sia dal punto di vista dei moduli di movimento adottati (la tecnica accademica del balletto) sia dal punto di vista strutturale (una certa concezione del disegno coreografico, del rapporto danza - scenografica) sia infine dal punto di vista delle tematiche affrontate (i contenuti favolistici, i temi d'evasione della realtà). È importante osservare che soltanto ai primi del Novecento esso è stato messo in discussione da quella corrente di rinnovamento della danza teatrale che va sotto il nome di "danza moderna". Tale corrente non equivale a un unico stile di danza: al contrario, si tratta di una tendenza comprensiva di numerose tecniche e stili differenti. Ma le diverse esperienze dei danzatori moderni possono essere inserite in una corrente unitaria, per via delle origini che le accomuna: vale a dire la medesima volontà di ricerca di moduli espressivi originali, al di là degli schemi statici e artificiosi imposti dalla lunga tradizione del balletto classico.
Danza anticaDal punto di vista formale, la tradizione culturale del balletto consiste in un codice di movimento definito e strutturato secondo regole prefissate: la tecnica della danza accademica è fatta di passi, figure e posizioni, codificati in un vocabolario fisso di modelli di movimento. La conferma tradizionale di tale tecnica consiste dunque in un linguaggio formale che preesiste al danzatore: non è l'artista à creare il proprio codice, bensì viceversa è il codice a formare l'artista.
Le regole comprese in quel sistema di forme sono state strutturate in base a un modello astratto di perfezione stilistica, nel senso che tendono verso un ideale disegno concepito a priori che il movimento del corpo deve tracciare nello spazio: un ballerino classico, dunque, cerca di avvicinarsi al massimo a un modello che necessariamente resta astratto e intellettuale, in quanto non nasce come il risultato diretto delle sue esigenze espressive, ma è sempre aprioristicamente strutturato secondo i canoni puramente estetici.
Questo punto è di importanza fondamentale per chiarire una delle differenze più decisive tra danza classica e danza moderna: mentre la prima si serve sempre di un linguaggio unico, la seconda viceversa consiste in una molteplicità di linguaggi diversi, in quanto ogni artista crea il suo codice per comunicare. Così accade che i danzatori moderni non accettino la convenzione classica delle cinque posizioni del piede, in quanto asseriscono che il numero delle posizioni non può essere stabilito da nient'altro se non da quanto l'artista richiede al proprio corpo per ottenere i risultati che desidera.
Vi è dunque una tendenza continua a restituire al corpo la sua reale dimensione di libera creatività: e questo significa, innanzitutto riconoscerne il valore di realtà essenziale che si definisce e si esprime in un tutto con l'interiorità.
A questo proposito tuttavia è necessaria una considerazione fondamentale: parlare di due parti distinte dell'io, corpo e spirito, equivale alla piena accettazione del secolare postulato cristiano che scinde l'individuo in anima e corpo, senza saperne vedere la continuità. La danza, nel suo significato più ampio e spontaneo, costituisce la negazione radicale di tale dualismo, che ha avuto la funzione determinante di condizionare gran parte del pensiero e della cultura occidentali.
Basta dare uno sguardo alla storia della danza per comprendere quanto tale forma d'espressione abbia subìto l'influsso di una morale che per tanti secoli ha imposto il disprezzo e la frustrazione del fisico.
A partire dalla caduta dell'Impero romano si assiste a un estremo impoverimento delle forme di danza: fin dal IV secolo, durante il periodo degli imperatori cristiani, ogni attività di teatro e di danza viene considerata immorale e si nega il battesimo a tutti coloro che vi assistono o vi partecipano. Nel 398, il Concilio di Cartagine, commina la scomunica per coloro che assistono a spettacoli teatrali nei giorni festivi. Sant'Agostino definisce la danza "follia lasciva, roba del diavolo".
Solo umiliando il corpo, affermano i Padri della Chiesa, si può giungere alla purificazione dello spirito che rende l'uomo questo misero essere peccaminoso, degno di avvicinarsi a Dio, che è l'essenza estrema della spiritualità. È solo dopo la morte, in quanto liberazione dall'ostacolo che per l'uomo rappresenta le sue spoglie terrene, l'essere umano può raggiungere il benessere totale, che è contatto della sua anima con lo spirito divino, realizzabile solo in un'altra vita.
Nell'ambito della visione dualistica imposta dal potere ecclesiastico l'attività della danza sfiorisce, sopravvivendo solo nel genere della "danza macabra", mentre i concilii lanciano anatemi contro "obsceni motus" profananti chiese e cimiteri.
Danza modernaNel quadro dell'evoluzione estetica che segna il passaggio dallo spirito medievale alla cultura umanistica del Trecento, la danza d'evasione comincia a rifiorire nelle "canzoni a ballo" duecentesche, che si eseguono nelle corti italiane e francesi; tale rinascita costituisce uno degli aspetti delle nuove tendenze culturali. L'arte si situa in una dimensione antropocentrica, che sottende l'affermazione umanistica di valori etici terreni; insofferenti nei confronti della mentalità dogmatica e gerarchica del periodo precedente, gli umanisti affermano la possibilità di conseguire la felicità nel corso di questa vita, negando per molti versi l'alienazione del corpo: piegare fisico e intelletto all'arbitrio sociale e al dogma religioso assume qui il senso di una imposizione assurda e innaturale. La danza, attività legata al corpo e dunque tradizionalmente connessa all'immagine della donna, in quanto nella storia della nostra cultura la donna si è sempre trovata forzatamente esclusa da attività di tipo intellettuale, esce dall'ambito prevalentemente femminile: è indicativo il fatto che nel Duecento anche gli uomini cominciassero a prendere parte all'esecuzione danzata delle "canzoni a ballo" di corte, che in un primo tempo erano loro precluse.
Bisogna notare tuttavia che i valori umani rivendicati in questo periodo furono inseriti in una visione ideale che finiva anch'essa per avere un suo contenuto di trascendenza: ciò a cui si tendeva era infatti il modello perfetto ed eccellente dell'uomo in sé. Socialmente era dunque inevitabile che tale concezione fondata su un'idealizzazione dell'umano potesse esprimersi esclusivamente in dimensioni aristocratiche.
Tale unilateralità si riflette anche nel campo della danza: se l'umanesimo costituisce una tendenza culturale di élite, parallelamente la danza della classe dominante cerca una sua differenziazione sempre più netta da quella popolare: mentre quest'ultima è improntata alla spontaneità, la prima tende progressivamente alla strutturazione di criteri di ordine e di precisione.
Nel XVI secolo la danza inizia a trasformarsi in balletto, ossia in manifestazione autonoma strutturata secondo canoni estetici ben precisi, regolata da schemi coreografici e destinata alla rappresentazione di fronte a un pubblico. Questa forma di spettacolo, che prende l'avvio in Italia, si definisce secondo regole tendenti alla ricerca. di una differenziazione sempre più accentuata nei confronti di tutte le forme di danza istintiva e indiscriminata.
Mentre dunque il patrimonio della danza popolare resterà pressoché immutato attraverso i secoli (nella sostanza naturalmente e non nella forma, che da un lato inevitabilmente subisce gli influssi della civilizzazione, e dall'altro risente almeno in parte della sistematicità imposta alla danza dalle esigenze culturali delle classi dominanti), la danza ufficiale, è ormai considerata degna di avere la sua storia e la sua teoria.
I balletti del Cinquecento e del Seicento hanno una doppia funzione: da una parte sono strumento d'evasione per i principi dell'epoca, passatempi vuoti, frivoli divertimenti cortigiani che trovano la loro espressione in mascherate carnevalesche o insipide allegorie satiriche; dall'altra il loro scopo fondamentale viene a essere la servile adulazione del principe, l'encomio fine a se stesso.
Il balletto inteso in questo senso, ossia come strumento funzionale agli intenti politici del monarca, trova la sua più evidente espressione durante il regno di Luigi XIV. Il Re Sole, detto anche il "re ballerino" (danzò appena quindicenne nel famoso "Ballet de la Nuit" nel ruolo del Sole, da cui derivò appunto il suo primo appellativo), nutriva una vera e propria passione per il genere artistico del balletto, ed è in gran parte a questa sua predilezione che si deve il dilagare della "ballettomania" nelle corti europee del XVII secolo. La danza, negata dal potere ecclesiastico, diventa uno strumento del potere secolare.
Nel 1661 Luigi XIV fonda l'Académie Royale de Danse; è questo il periodo d'oro delle accademie, che vede nascere anche l'Académie Francaise per la lingua e l'Académie Francaise de Peinture per la pittura. Tale fenomeno, nella danza così come negli altri campi, avrebbe finito per separare in modo sempre più accentuato la componente tecnica, invece di costituire solo un mezzo per arrivare a un diverso risultato, sarebbe divenuta fine a se stessa.
Balletto del XX secolo di Maurice Béjart
Nasce un nuovo senso del movimento che bandisce dalla danza ogni forma di rozzezza. Non si affida più nulla all'impulso e all'improvvisazione: ciò che conta è la perfezione stilistica in base a un codice teorico prestabilito. È nato così il balletto classico.
Da questo momento la forma più illustre di danza teatrale occidentale inizia a costruire la sua storia: una storia in cui la danza resta prevalentemente un fenomeno estetico che tende a ignorare le manifestazioni sostanziali della vita in senso concreto, configurandosi come un'arte di evasione dalla realtà del presente riservata a un'élite culturale.
Nel modo d'espressione che più di ogni altro, nella più recente storia occidentale, è legato alla donna si riflette, parallelamente all'artificiosa frattura imposta al prodotto artistico, la duplice visione sociale della femminilità come simbolo erotico da un lato e simbolo spirituale dall'altro.
La donna rivive nel simbolo della ballerina, colei che desta scandalo e che ha influenti personaggi per amanti, mentre la Chiesa, da parte sua, condanna il teatro e non concede il matrimonio né la sepoltura ad attori e danzatori; oppure, al contrario, si trasfigura nell'essere etereo, incorporeo, irreale incarnato dalla donna-silfide, colei che proietta la propria astratta bellezza verso l'alto, senza alcun calore, in una continua tensione del corpo assolutamente innaturale.
Significativo è il fatto che la funzione del danzatore di sesso maschile venga per lo più identificata con il ruolo di sollevatore della ballerina.
Nell'epoca romantica, in cui la tendenza all'elevazione dal suolo raggiunge il suo àcme con l'introduzione delle "punte" l'idealizzazione dell'immagine femminile si accentua fino alla esasperazione. I "passi a due" di questo periodo tendono a esaltare la tecnica femminile.
Mentre l'Europa si sta avviando verso la radicale trasformazione operata dalla rivoluzione industriale, il balletto romantico traduce l'esigenza creando un nuovo stile di danza aereo e purissimo inserito in atmosfere coreografiche irreali e evanescenti.
La donna diventa uno degli idoli romantici, trasformata in una sorta di creatura-limite che svolazza sui palcoscenici dei teatri d'Europa: un "divino" essere che riduce al minimo il contatto con la terra, con l'humus peccaminoso. La donna vera, viva, reale, la bellezza del suo corpo, il suo imprescindibile nesso con la natura, scompare in questa visione della donna-silfide.
Molto sintomatico è il fatto che l'uso delle punte venga riservato alle sole donne, sebbene non ci sia alcun motivo anatomico perché non possano essere adottate anche dagli uomini.
Il primo eretico della danza classica era stato J. George Noverre (1727-1810), il grande teorico del "ballet d'action".
Negando quella che aveva definito "danza accademica", vale a dire il puro tecnicismo, Noverre cercava la piena fusione della danza con il teatro, aspirazione che avrebbe trovato la sua compiuta realizzazione soltanto nel XX secolo.
Danza dei nostri tempiSoltanto la danza moderna, nella sua ricerca di fusione con il teatro, nella sua aspirazione a una danza espressiva, concretamente legata alla vita, nella sua concezione fondamentalmente asimmetrica del movimento, potrà essere rappresentativa di un solido tentativo di risposta alle questioni che Noverre aveva posto al balletto due secoli prima.
A questo punto sembra necessaria una parentesi. È indispensabile porre una netta distinzione tra due termini che troppo spesso vengono confusi tra loro: "balletto moderno" e "danza moderna". Con il primo termine si intende la corrente riformatrice del balletto accademico che vede la sua prima grande stagione nei due decenni di attività dell'impresario russo Sergeh Diaghilev. I capisaldi di questo movimento coreografico sono stati Fokine, Nijinskij e Massine, e allo stesso spirito innovatore sono stati Serge Lifar e George Balanchine. Per comprendere le nuove concezioni del balletto moderno è particolarmente illuminante la lettera indirizzata da Fokine al "Times", che può essere considerata come il manifesto estetico del balletto moderno:
"Il primo principio su cui si basa il nuovo balletto è di non adottare combinazioni di passi di danza già esistenti e noti, ma di creare in ciascun caso una forma nuova che corrisponda all'argomento; la forma che esprima nel miglior modo possibile il periodo e il carattere del popolo di cui si tratta".
"La seconda norma è che la danza e la mimica non hanno nessun significato in un balletto se non servono ad esprimere l'azione drammatica e non devono essere usate come per un semplice divertissment o per offrire una piacevole diversione, senza alcun rapporto con lo schema dell'intero balletto". "Il terzo principio del nuovo balletto consiste nell'ammettere l'uso del gesto convenzionale soltanto dove lo richiede lo stile del balletto mentre in tutti gli altri casi ci si deve sforzare di sostituire i gesti delle mani con la mimica di tutto il corpo. L'uomo può e deve essere espressivo dalla testa ai piedi".
"Il quarto principio è quello dell'espressività della danza di gruppo e di insieme. Nel balletto di un tempo i danzatori si disponevano in gruppo solo a fini ornamentali e il maestro di ballo non badava, nelle danze di gruppo o di insieme, all'espressione di un sentimento".
"Il nuovo balletto, invece, sviluppando il principio dell'espressività, passa dall'espressività del volto a quella di tutto il corpo e da quella di un singolo all'espressività di un gruppo di corpi e di una complessa danza d'insieme".
"Il quinto principio è l'alleanza della danza con le altre arti. Il nuovo balletto, rifiutando di asservirsi sia alla musica, sia alla scenografia, e riconoscendo l'alleanza tra le arti soltanto se effettuata su un piano di completa parità, permette piena libertà allo scenografo e al musicista. A differenza del vecchio balletto esso non esige dal compositore una musica per balletto, intesa come accompagnamento della danza; ma accetta musica di qualsiasi tipo, purché sia musica buona ed espressiva.
Non esige dallo scenografo che egli debba alcuna condizione ballettistica specifica, né al compositore né allo scenografo, ma lascia completa libertà alle loro creazioni.
Dopo la parentesi di statico accademismo animato da un artificioso spiritualismo dualistico di origine cattolica, agli inizi del nostro secolo prende il via quella corrente di danza che va sotto il nome di "danza moderna", e che non è, come il balletto russo d'avanguardia, soltanto una riforma, ma assume il senso di una vera e propria rivoluzione.
Nel tentativo di ricomporre il significato originario della danza come modo di espressione concreto, indissolubilmente legato alla reale esperienza umana, questo movimento è volto verso la ricerca di nuovi moduli espressivi che prescindessero completamente dagli schemi imposti dalla lunga tradizione del balletto classico. L'obbiettivo era un tipo di movimento espressivo che annullasse ogni artificiosa scissione tra esteriorità e interiorità, tra forma e contenuto.
Isadora Duncan, Ruth Sto Denis, Martha Graham, Doris Humprey, Mary Wigman sono le avanguardie femminili della danza del Novecento. Esse proclamarono apertamente la loro indipendenza dal conformismo sia come artiste sia come donne, rivendicando la potenza del movimento espressivo senza prescindere mai dalla concezione anti-dualistica dell'individuo come totalità, e cercando i temi per le loro danze non in un'evasione dall'esperienza concreta dell'uomo contemporaneo, bensì, viceversa, sviscerandone la problematicità, mettendone in rilievo la drammatica realtà psicologica e sociale.

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